Fotovoltaico
Un impianto fotovoltaico è un impianto elettrico costituito essenzialmente dall'assemblaggio di più moduli fotovoltaici, i quali sfruttano l'energia solare incidente per produrre energia elettrica mediante effetto fotovoltaico, della necessaria componente elettrica (cavi) ed elettronica (inverter) ed eventualmente di sistemi meccanici-automatici ad inseguimento solare.
CLASSIFICAZIONE E TIPOLOGIA
Gli impianti fotovoltaici sono generalmente suddivisi in tre grandi famiglie:
• impianti "INDIPENDENTI" (detti anche "stand-alone"): non sono connessi ad alcuna rete di distribuzione, per cui sfruttano direttamente sul posto l'energia elettrica prodotta e accumulata in un accumulatore di energia (batterie);
• impianti "grid-connect": sono impianti connessi ad una rete elettrica di distribuzione esistente e gestita da terzi e spesso anche all'impianto elettrico privato da servire;
• impianti "ibridi": restano connessi alla rete elettrica di distribuzione, ma utilizzano principalmente l'energia solare, grazie all'accumulatore. Qualora l'accumulatore sia scarico (ad esempio, dopo un lungo utilizzo notturno) una centralina predispone l'acquisizione di energia, collegando l'immobile alla rete elettrica per la fornitura.
IMPIANTI FOTOVOLTAICI CONNESSI ALLA RETE (GRID CONNECT)
Questa famiglia identifica quelle utenze elettriche già servite dalla rete nazionale in AC, ma che immettono in rete la produzione elettrica risultante dal loro impianto fotovoltaico, opportunamente convertita in corrente alternata e sincronizzata a quella della rete, contribuendo alla cosiddetta generazione distribuita.
I principali componenti di un impianto fotovoltaico connesso alla rete sono:
• campo fotovoltaico, deputato a raccogliere energia mediante moduli fotovoltaici disposti opportunamente a favore del sole;
• cavi di connessione, componente spesso sottovalutata, devono presentare un'adeguata resistenza ai raggi UV ed alle temperature.
• quadro di campo, costituito da diodi di protezione dalle correnti inverse, scaricatori per le sovratensioni e interruttori magnetotermici per proteggere i cavi da eventuali sovraccarichi.
• inverter, deputato a stabilizzare l'energia raccolta, a convertirla in corrente alternata e ad iniettarla in rete;
• quadro di protezione e controllo, tra l'inverter e la rete elettrica, definito dalle norme tecniche del gestore di rete.
SISTEMI FOTOVOLTAICI ARCHITETTONICAMENTE INTEGRATI
Una menzione a parte va al cosiddetto BIPV, acronimo di Building Integrated PhotoVoltaics, ovvero Sistemi fotovoltaici architettonicamente integrati. L'integrazione architettonica si ottiene posizionando il campo fotovoltaico dell'impianto all'interno del profilo stesso dell'edificio che lo accoglie.
Le tecniche sono principalmente tre:
• sostituzione locale del manto di copertura (es. tegole o coppi) con un rivestimento idoneo a cui si sovrappone il campo fotovoltaico, in modo che questo risulti affogato nel manto di copertura;
• impiego di tecnologie idonee all'integrazione, come i film sottili;
• impiego di moduli fotovoltaici strutturali, che svolgono anche la funzione di infisso, con o senza vetrocamera.
I costi per ottenere un impianto BIPV sono dunque più alti rispetto a quello tradizionale, ma il risultato estetico è talmente pregevole che la normativa stessa del Conto energia li tutela e valorizza, riconoscendo una tariffa incentivante sensibilmente più elevata.
CARATTERISTICHE TECNICHE
La potenza nominale di un impianto fotovoltaico si misura con la somma dei valori di potenza nominale di ciascun modulo fotovoltaico di cui è composto il suo campo, e l'unità di misura [Watt] (simbolo: W).
La superficie occupata da un impianto fotovoltaico è in genere poco maggiore rispetto a quella occupata dai soli moduli fotovoltaici, che richiedono, per la tecnologia silicio policristallino e silicio monocristallino, circa 8 m² / kW (se esposti a Sud) ai quali vanno aggiunte eventuali superfici occupate dai coni d'ombra prodotte da ostacoli tipo (camini, antenne TV ecc.), se montati in modo complanare alle superficie, invece se montati in modo non complanare si deve tenere conto dell'ombra che gli stessi pannelli producono e quindi la superficie impiegata è di circa 20 m²/kW.
Da osservare che ogni tipo di cella ha un tipico ingombro superficiale, con le tecnologie a silicio amorfo oltre i 20 m²/ kW e 9 m² / kW per la tecnologia CIS. Negli impianti su terreno o tetto piano, è prassi comune distribuire geometricamente il campo su più file, opportunamente sollevate singolarmente verso il sole, in modo da massimizzare l'irraggiamento captato dai moduli. Queste file vengono stabilite per esigenze geometriche del sito di installazione e possono o meno corrispondere alle stringhe.
In entrambe le configurazioni di impianto, ad isola o connesso, l'unico componente disposto in esterni è il campo fotovoltaico, mentre regolatore, inverter e batteria sono tipicamente disposti in locali tecnici predisposti (es. shelter).
L'energia prodotta è tanto maggiore quanto più l'impianto gode di un'esposizione favorevole all'irraggiamento solare, che è funzione dell'eliofania e massima con determinati angoli di inclinazione rispetto ad un piano orizzontale al suolo e per esposizioni il più possibile verso sud.
Per massimizzare la captazione dell'irraggiamento solare si progettano e si realizzano sempre più moduli fotovoltaici ad inseguimento solare che adattano cioè l'inclinazione del pannello ricevente all'inclinazione dei raggi solari durante il giorno e la stagione.
Recupero acque piovane
Il rispetto per la vita e la natura passa attraverso una risorsa fondamentale ed imprescindibile: l’acqua! Nonostante la consapevolezza che senza acqua non può esistere la vita, molto spesso ne viene fatto un uso sconsiderato. Oltre che una questione etica lo spreco dell’acqua è anche sinonimo di cattiva gestione economica, perché ormai lo sappiamo bene tutti quanto costa l’acqua. E allora cosa fare per evitare gli sprechi? La si deve utilizzare con parsimonia, logicamente, ma anche le scelte architettoniche attuate in fase di costruzione degli edifici possono influire in maniera significativa.
Come? per dare una risposta concreta alla necessità di razionalizzare i consumi di acqua bisogna innanzitutto capire che non per tutti gli usi che coinvolgono l’acqua è necessario utilizzare acqua potabile.
Una famiglia media europea può risparmiare più della metà dell’acqua potabile sostituendola con acqua piovana raccolta per mezzo di sistemi di captazione e ridistribuzione.
L’acqua piovana, depurata attraverso un sistema di recupero ben progettato ed installato, può essere riutilizzata nelle nostre case possedendo caratteristiche paragonabili a quelle dell’acqua distillata, il che è positivo per il funzionamento di macchine come le lavatrici che, non avendo più a che fare con le formazioni di calcare, consumerebbero meno energia e si guasterebbero più difficilmente.
Da un punto di vista funzionale un impianto di recupero e riciclo dell’acqua piovana, come il suo nome suggerisce, è costituito da due sottoimpianti:
1. Impianto di captazione: molto simile ad un normale impianto di scarico, l’impianto di captazione preleva l’acqua piovana dal tetto e da tutte le superfici dove non vi è transito di automobili e la depura e la convoglia in un serbatoio che deve essere scelto in funzione della sua posizione (fuori terra, interrato o interno all’edificio), capienza, forma e materiale.
2. Impianto di riutilizzo: dal serbatoio l’acqua viene prelevata da una pompa e portata nelle condotte che alimentano scarichi dei wc, lavatrici ecc. L’impianto di riutilizzo è strutturato in modo che se viene ad esaurirsi, causa siccità, la scorta di acqua piovana, commuta la chiamata dell’acqua direttamente dall’acquedotto cittadino. I tubi che trasportano acqua piovana devono inoltre essere marchiati con una scritta che evidenzia in modo chiaro ed inequivocabile che l’acqua al loro interno è non potabile.
Dove usare l’acqua piovana? gli utilizzi possibili dell’acqua piovana sono molteplici e permettono un notevole risparmio dell’acqua potabile che ricordiamo si paga sia in entrata che in uscita (fognatura). Vediamoli insieme:
• scarichi WC
• lavatrice
• lavaggio auto
• lavaggio dei pavimenti
• annaffiamento fiori
• irrigazione prati e zone verdi
• lavaggio di animali domestici
• condizionatori e pompe di calore
Come si calcolano le dimensioni della vasca di accumulo?
La capienza di un serbatoio di accumulo delle acque piovane, dovrebbe essere calcolata, secondo la norma E DIN 1989-1:2000-12, considerando diverse variabili, come la resa annua della pioggia in litri, la superficie del tetto ed il materiale con il quale è costituito il manto di copertura.
Nota la resa annuale della pioggia in litri, si calcola il volume del serbatoio moltiplicando il valore della resa annua per il periodo secco medio, ossia il numero di giorni durante i quali si può verificare l’assenza di precipitazioni (in letteratura considerato solitamente di 21 giorni), il tutto diviso per il numero di giorni di un anno, 365. In base al valore ottenuto è sufficiente scegliere fra i vari serbatoi in commercio.
La scelta del serbatoio per l’accumulo dell’acqua piovana più adatto, è vincolata al soddisfacimento delle seguenti caratteristiche elencate in ordine di importanza.
1. Posizione: il serbatoio può essere collocato fuori terra, all’interno dell’edificio oppure può essere interrato. Nel primo caso, si hanno serbatoi perfetti per utilizzare l’acqua stoccata per il lavaggio di auto o per l’irrigazione e non si necessita di pompe. Se si decide di installare il serbatoio all’interno dell’edificio, si godrà di vantaggi quali la facilità di installazione. Un serbatoio interrato invece, prevede costi e consumi maggiori dovuti dall’uso di pompe, tipicamente ad immersione, di sollevamento dell’acqua.
2. Capienza: i serbatoi per l’accumulo delle acque piovane, hanno una capienza che oscilla solitamente tra i 1000 ed i 10 mila litri.
3. Forma: la forma più diffusa per i serbatoi, è quella cilindrica in quanto consente a parità di superficie esposta all’aria, di contenere più acqua. I serbatoi sono solitamente caratterizzati da nervature che servono a conferire all’involucro una resistenza maggiore.
4. Materiale: i serbatoi sono solitamente realizzati in polietilene ad alta densità, materiale riciclabile che rispetta le normative circa lo stoccaggio di acque destinate al consumo umano.
Tutti, prestando attenzione ai nostri comportamenti, possiamo risparmiare notevoli quantità di acqua potabile. I consigli dell’Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto aiutano a ricordarci che:
• Se un rubinetto gocciola, va sostituta la guarnizione: si possono risparmiare fino a 4000 litri di acqua in un anno. E se a perdere è il water possono andare sprecati fino a 100 litri di acqua al giorno. Quando si va in vacanza è buona norma chiudere la valvola centrale dell’acqua e controllare che il contatore non giri più: ciò assicura contro rotture impreviste nell’impianto idraulico ed evita inutili dispersioni da rubinetti che perdono.
• Per lavare l’auto si possono arrivare ad usare fino a 200 litri di acqua...ma se invece di usare la pompa ci si munisce di un comodo secchio, si arriva a risparmiare fino a 130 litri ogni lavaggio. Meglio ancora è portare l’auto all’autolavaggio che, per legge, deve essere dotato di impianti di depurazione, così evitiamo di scaricare detergenti, oli minerali e idrocarburi in fiumi e mari.
• Lavare la frutta e la verdura lasciandole a mollo, anziché sciacquandole sotto l’acqua corrente, può far risparmiare oltre 4000 litri/anno per famiglia. Inoltre, l’acqua di lavaggio raccolta, ricca di residui minerali, può essere riutilizzata per le piante, avendo cura di innaffiarle di sera, per evitare che il sole faccia evaporare velocemente l’acqua e quindi sprecarla.
• Far funzionare la lavatrice o la lavapiatti a pieno carico, permette di risparmiare in un anno dagli 8000 agli 11.000 litri d’acqua potabile ad una famiglia media. Anche i gradi fanno la differenza: a 30 gradi si consuma meno della metà di acqua che a 90 gradi e i detergenti in commercio sono efficaci anche alle basse temperature.
• Applicare un frangiflutti al rubinetto arricchisce il getto d’aria, riducendo fino a metà la fuoriuscita dell’acqua. Risparmio: 6000 litri/anno per famiglia.
• Il 30% dei consumi domestici se ne va con lo sciacquone del water. Un sistema a quantità differenziata per lo scarico del water, (a seconda dei nostri...”bisogni”...!) permette di risparmiare da 20.000 a 26.000 litri di acqua ogni anno.
• Il bagno richiede l’utilizzo del triplo di acqua rispetto alla doccia: con questa si risparmia tempo e circa un centinaio di litri per volta.
• Per lavarsi i denti, non serve tenere il rubinetto aperto, facendo scorrere l’acqua. I dentisti consigliano uno spazzolamento dei denti “a secco” riservando l’acqua per il solo risciacquo finale. Per la rasatura è sufficiente utilizzare un po’ di acqua nel lavandino chiuso col tappo, per poi lasciarla scorrere solo alla fine. Bastano questi semplici accorgimenti per risparmiare 2500 litri per persona in un anno.
• Spesso, in bagno o in cucina, si lascia scorrere l’acqua finchè non raggiunge la temperatura desiderata. Questa dispersione impropria può essere evitata con un intervento di isolamento termico delle tubature, realizzabile per le nuove abitazioni o in interventi di ristrutturazione. Al contrario, d’estate, per raffreddare l’acqua, mettiamola nel frigorifero invece di farla scorrere per averla più fredda. . Usare detersivi appropriati, (biodegradabili in tempi brevi, senza fosforo e in quantità limitate) che rispettino certe caratteristiche di compatibilità con l’ambiente, è una scelta intelligente sia in favore di un minor inquinamento sia per una riduzione dei costi.
• Nel water non vanno gettati rifiuti urbani, neanche di piccole dimensioni come capelli, cotone, cotton fiocc, medicine, gomma da masticare... l’acqua del nostro water torna nei fiumi e nel mare e prima di farlo deve essere depurata: la rimozione di tutti questi residui costa, inoltre eviterai di ritrovare questi oggetti antipatici lungo la spiaggia la prossima estate!
• L’acqua del nostro rubinetto è oggetto di controlli molto frequenti e con standard igienico–sanitari di assoluta affidabilità. Si può dunque farne tranquillamente uso.
• Riutilizzare l’acqua di cottura della pasta per lavare le stoviglie: è un ottimo sgrassante che consente di limitare l’uso del detersivo.
• L’olio di scarto dei cambi di qualsiasi macchina a motore (auto, moto, falciatrice, trattore, camion..) va portato in un centro di raccolta di olii usati: se disperso nell’ambiente (fiumi, canali) un litro d’olio rende imbevibile un milione di litri d’acqua.
...dalla terra nasce l’acqua, dall’acqua nasce l’anima
Eraclito
Geotermia
DEFINIZIONE
È la scienza (dal greco terra e calore) che si occupa del calore accumulato nel sottosuolo: calore che ha origine principalmente dal decadimento di sostanze radioattive presenti nelle rocce. Questo calore è in grado di mantenere, all’interno della terra, temperature che mediamente crescono con la profondità di circa 30°C ogni 1.000 m e che, nel nucleo centrale, superano i 6.500°C. Le variazioni di temperatura con la profondità non sono tuttavia sempre costanti, specie se le configurazioni geologiche del terreno sono come quelle che danno origine alle acque termali, alle fumarole e ai soffioni caldi.
L’energia geotermica può essere utilizzata in vari modi ed è normalmente così classificata:
- Geotermia ad alta energia Utilizza acqua surriscaldata e vapori a più di 180°C e serve a produrre direttamente energia elettrica. Il primo impianto di questo tipo è stato realizzato a Larderello (Pisa) nel 1906.
- Geotermia a media energia Utilizza acqua surriscaldata e vapori a temperature comprese fra 100 e 180°C. Con l’aiuto di un fluido intermedio serve a produrre energia elettrica.
- Geotermia a bassa energia Utilizza calore a temperature comprese fra 30 e 100°C. Serve per il teleriscaldamento, per stabilimenti termali e per processi tecnologici.
- Geotermia a energia molto bassa Utilizza calore a temperature inferiori a 30 °C e serve soprattutto ad alimentare pompe di calore.
COLLETTORI ORIZZONTALI INTERRATI
Sono impianti che utilizzano il calore che si trova accumulato negli strati più superficiali della terra: calore che, fino ad una profondità di 5 metri, si trova disponibile a temperature variabili da 8 a 13°C (ved. diagramma). Questo calore deriva soprattutto dal sole e dalle piogge. Infatti, fino ad una profondità di 5 metri, l’energia geotermica non dà alcun contributo significativo, in quanto apporta meno di 1 caloria ogni 10 metri quadrati di terreno. Pertanto bisogna installare di questi collettori in zone dove può arrivare, senza alcun impedimento, il calore proveniente dal sole e dalle piogge. A tal fine, non si deve coprire il terreno sotto cui sono posti i collettori con costruzioni (garages, prefabbricati, porticati) e neppure con pavimenti impermeabilizzati o con terrazze. Si deve anche evitare che piante, siepi o altri arbusti possano creare significative zone d’ombra.
Questi collettori possono essere realizzati con tubi in polietilene, polipropilene o polibutilene, posti in opera ad una profondità variabile da 0,8 a 2,0 m. Nei tubi è fatto circolare un fluido composto da acqua e antigelo. Lo sviluppo dei collettori può essere del tipo a serpentini o ad anelli e deve rispettare le seguenti distanze minime:
- 2,0 m dalle zone d’ombra indotte da edifici confinanti, muri di cinta, alberi, siepi o altri impedimenti;
- 1,5 m dalle reti degli impianti interrati di tipo non idraulico: reti elettriche, del telefono e del gas;
- 2,0 m dalle reti degli impianti interrati di tipo idraulico: reti dell’acqua sanitaria, delle acque di scarico e piovane;
- 3,0 m da fondazioni, recinzioni, pozzi d’acqua, fosse settiche, pozzi di smaltimento e simili;
Nel progettare i sistemi di captazione del calore bisogna evitare non solo sottodimensionamenti, ma anche sovradimensionamenti: cioè, bisogna evitare soluzioni che possono rubare troppo calore al sottosuolo. Un raffreddamento eccessivo del terreno può infatti provocare gravi conseguenze, sia per il funzionamento della pompa di calore sia per la vegetazione, specie nel caso di congelamento delle radici.
COLLETTORI A SERPENTINI
Sono normalmente posti a profondità variabili da 0,8 a 1,2 metri. Se realizzati con tubi in PE-X, si utilizzano i diametri 20/16 e 25/20,4. Sono collettori che richiedono ampie superfici da lasciare a prato, equivalenti a circa due o tre volte la superficie da riscaldare. Per non raffreddare troppo il terreno, i serpentini vanno realizzati con ampi interassi: da 40 a 50 cm. Il dimensionamento di questi collettori si effettua in base alla resa termica del terreno, che è influenzata soprattutto dalla sua compattezza e dalla quantità d’acqua che in esso si ritrova È consigliabile considerare salti termici di 3-4°C. Inoltre è bene non superare lunghezze di 100 metri con i singoli serpentini, per evitare perdite di carico troppo alte: cioè per non ridurre troppo la resa globale dell’impianto. Nel determinare le perdite di carico va considerata sia la temperatura di lavoro del fluido sia gli incrementi connessi all’uso di antigelo. Con una pompa di calore che ha in dotazione il circolatore per la sorgente fredda, perdite di carico e portata dei collettori devono essere compatibili con le prestazioni di tale circolatore.
COLLETTORI AD ANELLI
Sono posti su più piani e a profondità variabili da 0,6 a 2,0 metri. Se realizzati con tubi in PE-X, si utilizzano i diametri 20/16 e 25/20,4. Rispetto ai collettori con serpentini, occupano minor superficie di terreno e richiedono minor movimenti di terra. Gli anelli possono essere chiusi o aperti. Mentre i fossi possono svilupparsi con geometrie molto varie, in relazione al tipo e all’estensione del terreno disponibile. Con fossi del tipo sotto rappresentato, i collettori ad anelli devono svilupparsi su piani (in genere 2, 3 o 4) fra loro distanti non meno di 40 cm e il il calore asportabile da ogni metro di tubo può considerarsi uguale a quello riportato nella tabella relativa ai collettori con serpentini. Anche il dimensionamento degli anelli è in pratica uguale a quello dei serpentini. Va tuttavia considerato che la lunghezza degli anelli è correlata a quella dei fossi e quindi può superare anche i 100 m. In tali casi si devono adottare tubi con diametri in grado di mantenere le perdite di carico entro limiti accettabili: vale a dire entro limiti non troppo penalizzanti per la resa globale dell’impianto.
SONDE GEOTERMICHE
Sono impianti che utilizzano il calore disponibile nel sottosuolo fino ad una profondità di 200 metri e anche oltre. Tale calore, fino a 15 metri, è fornito essenzialmente dal sole e dalle piogge. Poi, dai 15 ai 20 metri, questi apporti si riducono fino quasi ad annullarsi, ed inizia a dare un significativo contributo l’energia geotermica. Infine, oltre i 20 metri, è in pratica solo quest’ultima forma di energia a rifornire di calore il sottosuolo, facendone aumentare la temperatura di circa 3°C ogni 100 metri di profondità. Il disegno sotto riportato serve ad evidenziare i contributi delle varie forme di energia. Le sonde geotermiche (cioè le sonde che derivano dal sottosuolo calore di natura essenzialmente geotermica) sono realizzate con perforazioni il cui diametro varia da 100 a 150 mm. Nei fori, vengono poi inseriti uno o due circuiti ad U, realizzati con tubi in PE ad alta resistenza (in genere con diametri DN 32 e DN 40) specifici per applicazioni geotermiche. Per facilitare il loro inserimento nei fori, questi circuiti sono zavorrati con appositi pesi a perdere di 15-20 Kg. Dopo la posa dei circuiti, il vuoto che sussiste tra le pareti dei fori e i tubi dei circuiti è riempito con una sospensione a base di cemento e sostanze inerti. Per poter ottenere un riempimento in grado di assicurare un buon contatto, e quindi un buon scambio termico, fra il sottosuolo e i tubi delle sonde in genere si ricorre ad una soluzione di cemento e bentonite. La soluzione è iniettata dal basso verso l’alto con l’aiuto di un tubo supplementare inserito nel foro della sonda (ved. relativo disegno). Nei circuiti è infine fatto circolare un fluido composto da acqua e antigelo. Le sonde devono essere realizzate ad una distanza minima dall’edificio di 4-5 m (eventualmente da far verificare ad un Geologo) per evitare danni alle fondazioni. Se si realizzano più sonde bisogna prevedere fra loro una distanza di almeno 8 m, per evitare interferenze termiche: cioè per evitare che le sonde si rubino vicendevolmente calore, diminuendo così la loro resa termica globale.
Per realizzare queste sonde vanno comunque adottate tecniche e precauzioni che esigono l’intervento di imprese specializzate. Bisogna inoltre attenersi alle prescrizioni che riguardano il rispetto del sottosuolo. Il dimensionamento delle sonde si effettua in base alla resa termica del sottosuolo (ved. tabella). In genere si può considerare una resa termica media di 50 W per ogni metro di sonda. È consigliabile prevedere salti termici di 3-4°C e scegliere diametri dei circuiti interni che non comportano perdite di carico troppo elevate. Nel determinare le perdite di carico va considerata sia la temperatura di lavoro del fluido sia gli incrementi connessi all’uso di antigelo. Con una pompa di calore che ha in dotazione il circolatore per la sorgente fredda, perdite di carico e portata delle sonde devono essere compatibili con le prestazioni di tale circolatore.
Fonte: rivista idraulica - Caleffi
Pompe di calore
BREVE STORIA
La storia delle pompe di calore, in pratica, ha inizio solo con la crisi petrolifera del 1973 che portò i costi dei combustibili a livelli molto elevati. Fu questa crisi a ben evidenziare che, in certi casi, può convenire derivare calore da una sorgente fredda piuttosto che produrlo direttamente, cioè che può convenire usare una pompa di calore piuttosto che una caldaia. Le pompe di calore si diffondono tuttavia in modo significativo solo dopo i primi anni del 2000, vale a dire solo quando, oltre al problema del costo dei combustibili, cominciano ad entrare in gioco anche i problemi ambientali cioè problemi connessi al fatto che bruciando i combustibili si immettono nell’atmosfera polveri sottili e sostanze tossiche pericolose per la nostra salute e quella del nostro pianeta. È tutto ciò ha indotto, e sta inducendo, diversi paesi ad incentivare l’uso di impianti (per climatizzare ambienti e produrre acqua calda) alternativi a quelli con combustibili.
FUNZIONAMENTO
Le pompe di calore sono essenzialmente costituite da un circuito chiuso entro cui viene continuamente compresso e fatto espandere un apposito fluido, chiamato intermedio o frigorigeno. Ad ogni compressione ed ad ogni espansione (cioè ad ogni ciclo di lavoro) il fluido intermedio ruba un pò di calore al fluido freddo e lo cede a quello caldo. Quale fluido intermedio non si usa l’aria perché, pur essendo un fluido sicuro dal punto di vista ambientale e a costo nullo, comporta cicli di lavoro con resa termica molto bassa. Si usano, invece, fluidi che evaporano quando il calore viene assorbito e che condensano quando il calore viene ceduto. Tali passaggi di stato fanno infatti aumentare notevolmente la quantità di calore che ogni ciclo di lavoro è in grado di assorbire e di cedere. Invertendo i cicli di lavoro, queste macchine, possono essere utilizzate sia per riscaldare sia per raffreddare. Nel primo caso sono chiamate pompe di calore, nel secondo macchine frigorifere. Tuttavia si tratta di una differenza solo nominale. Il disegno sotto riportato evidenzia i principali componenti di una pompa di calore e la loro funzione.
SORGENTI DI CALORE UTILIZZABILI
Per alimentare il lato freddo delle pompe di calore si possono utilizzare diversi tipi di sorgente. La scelta dipende essenzialmente dai seguenti aspetti e fattori:
- le caratteristiche dell’ambiente esterno,
- le possibili limitazioni d’ordine normativo,
- le prestazioni richieste,
- il costo dell’impianto,
- i tempi di ritorno del maggior investimento.
Di seguito sono esaminate le sorgenti normalmente utilizzate e le loro caratteristiche principali.
Aria
Come sorgente di calore può essere utilizzata sia l’aria esterna sia l’aria interna di ricambio. L’aria esterna è sempre disponibile, non richiede mezzi di captazione costosi e per il suo uso non servono autorizzazioni. Tuttavia con temperature al di sotto dei 5-6°C, le prestazioni delle pompe di calore si abbassano molto e può essere necessario adottare sistemi integrativi del calore. Per l’aria di ricambio (normalmente disponibile a circa 20°C) non esistono gli inconvenienti di cui sopra, è però disponibile solo in quantità limitate.
Acque di superficie
Anche le acque del mare, dei laghi, dei corsi d’acqua e degli stagni possono essere utilizzate come sorgenti di calore. Va però considerato che, nei mesi più freddi, queste acque possono trovarsi a temperature molto basse e anche gelare. Pertanto, come nel caso dell’aria esterna, il loro uso può richiedere sistemi integrativi del calore.
Sottosuolo
Nel sottosuolo si trova accumulata una notevole quantità di energia, di origine soprattutto solare e geotermica. L’energia solare è accumulata a bassa profondità, mentre l’energia geotermica è prevalentemente accumulata nelle zone più profonde. L’energia del sottosuolo può essere utilizzata con l’aiuto dei seguenti mezzi:
- Acque di falda
- Collettori orizzontali - sono realizzati con tubi in materiale plastico e derivano calore da bassa profondità.
- Sonde verticali - sono realizzate inserendo tubi in materiale plastico in fori profondi 100-200 m.
- Pali energetici - sono realizzati inserendo tubi in materiale plastico nei pali di cemento delle fondazioni.
IMPIANTI DI RISCALDAMENTO UTILIZZABILI CON POMPE DI CALORE
Le prestazioni delle pompe di calore aumentano col diminuire della differenza di temperatura fra la sorgente fredda e il fluido caldo. Pertanto è bene riscaldare con basse temperature. In relazione a tale aspetto, i normali impianti di riscaldamento presentano i seguenti vantaggi e svantaggi:
- Impianti a pannelli radianti. Sono impianti che consentono un buon utilizzo delle pompe di calore in quanto funzionano a basse temperature. È bene comunque abbassare il più possibile tali temperature. Il che si può ottenere adottando pannelli con piccoli interassi (10-15 cm).
- Impianti a radiatori. Sono impianti adottabili dove non è possibile utilizzare i pannelli. Può essere, ad esempio, il caso di ristrutturazioni o di interventi di tipo conservativo. Il principale limite degli impianti a radiatori è dovuto al fatto che per poter funzionarea basse temperature richiedono soluzioni molto ingombranti. Ad esempio, se un radiatore a 80°C (temperatura media) emette 1.000 kcal/h, a 45°C ne emette solo 320, il che porta a notevoli sovradimensionamenti. Un altro limite è dovuto all’impossibilità di raffrescare coi radiatori.
- Impianti a ventilconvettori. Questi impianti sono normalmente utilizzati per climatizzare uffici, negozi, alberghi, case di cura. I ventilconvettori usati con pompe di calore devono essere comunque in grado di poter funzionare a basse temperature (40-45°C). Inoltre, se installati in camere, vanno adottati modelli con ventilatori a bassa rumorosità.
- Impianti ad aria. Sono impianti che possono essere realizzati con pompe di calore aria-aria o aria-acqua. Nel primo caso la pompa di calore alimenta direttamente i canali di distribuzione interna dell’aria. Nel secondo caso, invece, la pompa di calore fornisce l’acqua calda che serve ad alimentare una centrale di trattamento aria.
Fonte: rivista Idraulica - Caleffi
Impianto radiante
BREVE STORIA
Periodo antico
Già molti anni prima della nascita di Cristo, Cinesi, Egiziani e Romani utilizzarono il riscaldamento a pavimento nelle loro abitazioni e nei locali pubblici. La tecnica di base era molto semplice: si costruivano focolari interrati e si facevano passare i fumi in condotti ricavati sotto i pavimenti.
Periodo 1900-1945
È questo il periodo in cui furono realizzati i primi impianti di riscaldamento con tubi annegati sotto il pavimento: vale a dire con una tecnica sostanzialmente analoga a quella attuale. Tuttavia, fino alla fine della seconda guerra mondiale furono pochi gli interventi così realizzati: qualche grande salone e alcune chiese; decisamente troppo poco per stabilire la validità o meno di questi nuovi impianti.
Periodo 1945-1950
In questi primi anni del dopoguerra, nei paesi europei furono realizzati più di 100.000 alloggi con impianti a pannelli. I tubi erano in acciaio e venivano annegati direttamente nelle solette senza alcuna interposizione di materiale isolante. Erano impianti che costavano decisamente meno di quelli a radiatori, inoltre richiedevano minor assistenza muraria, non intralciavano le opere di finitura ed evitavano qualsiasi operazione di verniciatura. Erano, però, anche impianti su cui non era mai stata condotta alcuna seria analisi per verificare se erano capaci o meno di offrire prestazioni accettabili. E questa carenza fu pagata a caro prezzo. Ben presto, infatti, chi prese possesso di queste case cominciò a lamentare mal di testa, gonfiore di gambe ed eccessiva sudorazione: stati di disagio e di malessere che Commissioni, appositamente istituite, attribuirono a 3 cause:
- temperature troppo alte a pavimento, dovute allo scarso isolamento degli alloggi;
- inerzia termica dei pavimenti troppo elevata, dovuta al fatto che i pannelli (senza isolamento sotto) scaldavano l’intera soletta;
- inadeguatezza della regolazione, che in pratica si effettuava solo manualmente.
E a queste cause si deve non solo il cattivo funzionamento degli impianti a pannelli negli anni Cinquanta, ma anche la cattiva fama che per molti anni ha ostacolato la loro diffusione.
La riscoperta degli anni settanta
Agli inizi degli anni Settanta le cause di cui sopra furono rimosse, grazie:
- norme sul contenimento dei consumi energetici,
- all’uso di materiale isolante sotto i tubi,
- all’utilizzo di validi sistemi di regolazione.
Si ebbe, quindi, una riscoperta degli impianti a pannelli, anche se ancora “frenata” dalle paure legate agli insuccessi del periodo precedente.
Anni 2000
Quelli che stiamo vivendo sono probabilmente gli anni della definitiva affermazione degli impianti a pannelli. Ormai non servono più lunghi discorsi per convincere un committente ad adottarli. Anzi, spesso è il committente stesso a richiederli: cosa del tutto improbabile fino a qualche anno fa. Inoltre, più che gli scritti e i convegni (che pur hanno avuto e hanno la loro importanza) il mezzo più efficace, per la loro diffusione, è ora rappresentato dai numerosi interventi realizzati. Questi interventi, infatti, con l’indubbia rilevanza dei risultati direttamente verificabili sul campo, possono validamente allontanare dubbi e paure e, nello stesso tempo, dar testimonianza delle elevate prestazioni e dei vantaggi ottenibili.
BENEFICI GENERALI
Sono essenzialmente i benefici connessi a due fattori: il benessere termico e il risparmio energetico.
Benessere termico
Nei diagrammi sottoriportati è indicata la curva ideale temperatura/altezza del benessere termico. Tale curva, ricavata sperimentalmente, ci dice che per avere condizioni termiche ideali si deve mantenere un pò più calda l’aria a pavimento e un pò più fredda quella a soffitto. Sempre dai diagrammi è possibile dedurre che sono proprio gli impianti a pannelli quelli più idonei ad offrire simili condizioni. E i motivi sono essenzialmente due:
- la specifica posizione dei pannelli, che consente di mantenere l’aria più calda in prossimità del pavimento;
- il fatto che il calore è ceduto soprattutto per irraggiamento: cosa che evita il formarsi di correnti d’aria calda a soffitto e fredda a pavimento.
Risparmio energetico
Rispetto ai sistemi di riscaldamento tradizionali, gli impianti a pannelli (a pari sensazione di caldo) consentono di mantenere l’aria ambiente ad una temperatura più bassa di circa 1÷2°C. E questo comporta sensibili risparmi energetici. Inoltre gli impianti a pannelli, dato che funzionano a bassa temperatura, consentono di ottenere elevati rendimenti quando si utilizzano pannelli solari, pompe di calore e caldaie a condensazione.
Fonte: rivista Idraulica - Caleffi
Energia Rinnovabile
L'efficienza energetica di una abitazione è il frutto di una giusta alchimia fra la performance dell'involucro edilizio e il giusto bilanciamento dell'impiantistica. Lo staff di Abitazioni Ecologiche è particolarmente sensibile alle problematiche ambientali e prediligie l'uso delle energie alternative senza perdere d'occhio il giusto rapporto costi/benefici.
L'impianto di riscaldamento e raffrescamento è normalmente costituito da elementi radianti a pavimento e/o soffitto alimentati a bassa temperatura dalle seguenti possibili opzioni:
- Caldaia a condensazione integrabile con vasca di accumolo per l'acqua calda sanitaria e per il riscaldamento collegata a sua volta a pannelli solari termici - impianto fotovoltaico opzionale
- Pompa di calore (tradizionale o geotermica) alimentata da panneli fotovoltaici e integrata con vasca di accumolo per l'acqua calda sanitaria e per il riscaldamento collegata a sua volta a pannelli solari termici - allacciamento gas non necessario.
In entrambi i casi è possibile prevedere l'installazione di un impianto di ventilazione forzata centralizzato con controllo dell'umidità interna.
In entrambi i casi l'impianto è integrabile con fonti di calore a biomassa tipo camino, stube, stufa a legna o a pellets.